Pubblicato il 23/11/2003 su Pretesti
Le tracce della demodoxalogia si perdono a Venezia. Quasi per contrappasso, nella stessa città l’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti ha pubblicato La STORIA DEL SONDAGGIO D’OPINIONE IN ITALIA (1936-1994) di Sandro Rinauro, ricercatore all’Istituto di Geografia umana dell’Università di Milano. Abbiamo chiesto un parere sul libro e sullo sviluppo dell’indagine demoscopica nel nostro paese a Giulio D’Orazio, decano degli studi di demodoxalogia.
Diciamo subito che l’opera di Rinauro è appassionante e cattura il lettore già dal sottotitolo: “Dal lungo rifiuto alla repubblica dei sondaggi”. In sintesi, sostiene l’autore, l’iniziale italica refrattarietà allo strumento del sondaggio avrebbe ancora oggi conseguenze negli abusi della “sondomania”. Ciononostante, sarebbe sbagliata la legge che dal 1993 vieta i sondaggi preelettorali, “l’unica informazione costruita con un metodo tendenzialmente obiettivo” (pag. 716). Dell’ottimismo di Rinauro per lo strumento beneficiano anche i suoi maggiori interpreti nazionali. Così questa storia del sondaggio d’opinione è sostanzialmente la vicenda della Doxa e del suo fondatore Pierpaolo Luzzatto Fegiz (significativamente ritratto in copertina con George Gallup, pioniere dei sondaggisti). Dalle pagine di Rinauro, nota D’Orazio, non emergono altri protagonisti, che pure ebbero un certo peso nelle vicende trattate. Guglielmo Tagliacarne, ad esempio, ricordato da Rinauro tra i fondatori della Doxa, andrebbe menzionato piuttosto per i suoi sondaggi politici; mentre, almeno una citazione meriterebbero Luigi Pieraccioni e Michele Del Vescovo, i primi docenti di scienza dell’opinione pubblica e metodologia dei sondaggi.
Nelle 764 pagine del tomo manca pure un qualsivoglia accenno esplicito alla demodoxalogia, in passato conosciuta anche come demodossalogia, demodossologia o dossalogia (da non confondere con la dossologia). In effetti, l’indagine demodoxalogica sull’opinione pubblica non privilegia l’uso del campione statistico rappresentativo, la tecnica elaborata alla fine del XIX secolo per le prime ricerche di mercato e ancora oggi alla base dei sondaggi d’opinione. Nel libro di Rinauro, però, si parla delle indagini sull’opinione pubblica e non della presunta superiorità di una tecnica sulle altre: l’approccio è storico, non strettamente metodologico.
Quella della demodoxalogia è una vicenda marginale nella storia del sondaggio d’opinione in Italia, ma non è trascurabile. È la storia imbarazzante di una “scienza fascista” dell’opinione pubblica, ma non è solo questo. Attualmente, ammette D’Orazio, possiamo parlare della demodoxalogia come di una memoria storica: sopravvive una metodologia, depurata da ogni deriva politica e discutibile quanto si vuole. Un metodo – non più una scienza – poco criticato o del tutto ignorato in ambito scientifico, se non per certe visioni escatologiche legate a una “teoria unificante delle scienze”. In ogni caso, il comprensibile ostracismo degli ambienti accademici riformisti ha perlomeno sfibrato la memoria storica: con D’Orazio cerchiamo di ricordare qualcosa, allora, soffermandoci in particolare sugli esordi dell’analisi demoscopica.
Per cominciare, Rinauro (pag. 152) ricorda i primi istituti d’opinione fondati in Italia (Doxa nel 1946, Istituto Italiano di Opinione Pubblica nel 1950, Cisar nel 1957), ignorando il Centro di Demodossalogia. L’istituto “per gli studi e le indagini intorno alle opinioni pubbliche” sorto presso l’Università di Roma già nel 1939 (dunque ben prima di quelli citati), la cui attività è oggi ripresa dalla Società Italiana di Demodossalogia (SIDD). Ci sembra un’omissione rilevante.
D’Orazio non è d’accordo con Rinauro anche sul presunto “ritardo dello studio ‘scientifico’ dell’opinione pubblica in Italia rispetto alle democrazie occidentali” (pag. 123). Nel nostro paese si comincia a parlare di “studio dell’opinione pubblica” almeno dal 1928 – sostiene D’Orazio – con la prolusione di Paolo Orano al corso di giornalismo dell’Università di Perugia (lo stesso Orano terrà lezioni sull’argomento fino al 1944): dagli anni Trenta quello studio si chiamerà “demodossalogia”, anche se la definizione ufficiale arriva solo nel 1940 dopo un lungo dibattito sul nome. La disciplina è studiata anche all’Università di Roma e dal dopoguerra alla Pro Deo (l’attuale Luiss). Dal 1939 al 1944 sono 586 gli studenti iscritti al corso di giornalismo di Orano; di questi, 523 sostengono gli esami e 29 si laureano in demodossalogia. Fondamentale per lo sviluppo degli studi la tesi discussa nel 1931 da Perini-Bembo (relatore Orano) su “Giornalismo e Opinione Pubblica nella Rivoluzione di Venezia”.
I demodoxalogi, come accennato, interpretano l’opinione pubblica preferendo al campionamento statistico, avversato dal fascismo, il cosiddetto metodo in-de (indagine demodoxalogica): colloqui con questionari approfonditi e campionamenti scelti (non casuali). Al centro dell’indagine c’è l’ambiente: si studia l’opinione pubblica lì dove si ripetono gli schemi comportamentali abituali. Al sondaggio Gallup, che si limita a rilevare le opinioni, si preferisce un’indagine approfondita e completa dei documenti disponibili. Inoltre, da studiosi organici al regime, i demodoxalogi sostenevano che informare l’opinione pubblica significasse anche formarla (usavano lo slogan “rilevare per informarsi e informare per formare”). Il fascismo cercò di sfruttare le promesse della demodoxalogia concedendole qualche credito nelle università. Così, ricorda D’Orazio, numerosi studenti usciti dai corsi di demodoxalogia furono utilizzati per l’attività di “ascolto delle masse”. In effetti, non c’era gran fiducia nei “referendum Gallup”: si preferiva spiare i pensieri dei sudditi con maniere spicce.
Abbiamo accennato al fondatore della demodoxalogia, Paolo Orano: probabilmente il primo a studiare in modo continuativo e approfondito l’opinione pubblica (ripetiamolo, dal 1928). Orano, docente e rettore dell’Università di Perugia, senatore del regno e giornalista, fu autore di libri e articoli inneggianti al fascismo. Era un ebreo schierato col fascismo: sosteneva, per dire, la legittimità della censura come “tutela” delle persone culturalmente sprovvedute. Finita la guerra, fu prima confinato nel convento di Padula e poi detenuto agli arresti domiciliari a Firenze, dove morì. Tra i suoi molti discepoli spiccano Guido Fattorello, fondatore della Scuola superiore di pubblicismo, e soprattutto Federico Augusto Perini-Bembo.
Perini-Bembo è il personaggio chiave di questa storia dimenticata. Segue Mussolini a Salò e dopo le Foibe partecipa alla fondazione del Movimento Sociale Italiano (attribuendosi il significato “esoterico” della sigla MSI: Mussolini Sei Immortale). Alla fine della guerra è arrestato con l’accusa di collaborazionismo con l’Ovra, la polizia fascista. Subisce angherie e intimidazioni. Viene perfino condotto più volte davanti al plotone d’esecuzione per finte fucilazioni: solo un episodio della nostra guerra civile chiamata Liberazione (Giampaolo Pansa ha raccolto diverse testimonianze sulle “vendette partigiane” nel SANGUE DEI VINTI, ed. Sperling & Kupfer). In seguito Perini-Bembo ottiene un salvacondotto da un suo ex attendente passato con gli antifascisti, quindi lavora come interprete con gli alleati a Trieste. Nel 1948 è chiamato alla Pro Deo per insegnare demodoxalogia. Nel 1960, racconta D’Orazio, il primo ministro Tambroni incarica Perini-Bembo di organizzare un servizio d’informazione su persone e aziende influenti, vale a dire capaci di orientare il voto: parte di quel materiale sarebbe andata in dote all’agenzia stampa Montecitorio. In quel periodo, grazie a Giovanni Spadolini, entra nel Partito Repubblicano (anche il leader del PRI avrebbe frequentato i corsi di Orano: sostituivano il praticantato in un giornale).
La tradizione di studi demodoxalogici prosegue fino alla fine degli anni Ottanta con i corsi tenuti negli ultimi tempi soprattutto da D’Orazio. La situazione diventa critica con la morte di Perini-Bembo: la cattedra di storia del giornalismo è soppressa, nonostante la candidatura di Massimo Olmi, e la Fondazione di Mestre è chiusa per alcune controversie sull’eredità. In ogni modo, la decadenza della demodoxalogia risale al dopoguerra ed è firmata dai suoi stessi epigoni: marchiati come fascisti, continuarono a dichiararsi tali. Certo, la scarsa fortuna della disciplina nella cultura italiana è attribuibile anche al caratteraccio di Perini-Bembo. Il demodoxalogo, accenna D’Orazio, amava spedire lettere anonime: come Richelieu, pensava potessero smuovere governi e opinione pubblica…
Con Adriano Magi Braschi, maestro in tecniche di disinformazione e collaboratore di De Lorenzo al servizio segreto militare, negli anni Sessanta la demodoxalogia si manifesta ai suoi detrattori come scienza golpista oltre che fascista. Addirittura! Sicuramente un metodo sbrigativo, utilizzato dal ministero degli interni e da quello della difesa per rilevare le tendenze dell’opinione pubblica dalla lettura dei giornali. In sostanza, una misurazione quantitativa dello spazio occupato dai diversi argomenti tematizzati: per valutare il grado di condizionamento dell’opinione pubblica (calcolando anche la mediazione dei leader d’opinione) si seguiva la copertura delle notizie nel tempo.
In conclusione, comunque si giudichi l’esperienza della demodoxalogia, è difficile negare un qualche interesse per l’archivio della Fondazione Perini-Bembo di Mestre. Tutti da studiare, ad esempio, i sondaggi inediti realizzati all’inizio degli anni Quaranta. Compito difficile, ma non impossibile. Lo dimostra proprio Rinauro: per il suo fondamentale studio si è avvalso di fonti e documenti poco accessibili e riservati. Peccato che alla sua storia del sondaggio manchi qualcosa.