Indipendente da altre variabili (programmi, candidati, propaganda ecc.), parte del successo della Democrazia Cristiana fu nel sostantivo “democrazia” unito a “cristiana” e al motto “libertas”: concetti chiave impressi su uno scudo con una croce in campo bianco (colore “immacolato”). La “croce” simbolo cristiano e lo “scudo” strumento di protezione dagli attacchi degli avversari di allora (i comunisti, armati simbolicamente di falce e martello): il nemico “rosso” che avrebbe potuto attentare agli interessi della classe sociale che deteneva il potere e ogni tipo di proprietà.
Ma la DC fu più di un partito espressione di classe: attraverso tale mistificazione simbolica riuscì ad aggregare intorno a sé le masse popolari cattoliche. Tanto che il suo organo di stampa ufficiale portava un titolo a sua volta ingannevole: Il Popolo. La Democrazia Cristiana scomparve per i motivi storici che si conoscono, ma non è scomparsa la sostanza della sua politica che oggi è rinata in altre forme mistificatorie. La metamorfosi più evidente è rappresentata dal Popolo della Libertà, un movimento politico che difende anche i valori del cristianesimo e che riassume le parole popolo e libertà usate dalla vecchia DC. Tracciamo brevemente il successo del PDL dal punto di vista dei simboli e del suo massimo rappresentante Silvio Berlusconi. Quando il Cavaliere entrò in politica fondò il movimento denominato “Forza Italia” rappresentato dal colore azzurro e dal proprio inno: un insieme di simboli che richiamava nell’inconscio collettivo, oltre alla nazione italiana come entità politica e geografica, la nazionale italiana di calcio (gli “azzurri” per antonomasia). Lo sport del calcio in cui Berlusconi aveva importanti interessi essendo presidente della squadra del Milan: dunque, altri elementi di pubblicità, potere e denaro.
Quello che caratterizza meglio l’immagine del premier è comunque la sua disponibilità di grossi capitali e proprietà editoriali, oltre che una personale attitudine comunicativa fondata sul pragmatismo e sulla promessa di diminuire le tasse e aumentare la sicurezza dei cittadini (lui stesso si presenta come vittima delle ingiustizie delle “toghe rosse”). È opportuno ricordare che tra i consiglieri di Berlusconi per quanto riguarda simboli e strategie spicca il suo amico-prete Gianni Baget Bozzo, già fedele craxiano, naturalmente conoscitore dell’ambiente cattolico ed esperto di sociologia e psicologia.
Ma il successo politico più grande Berlusconi lo ha ottenuto recentemente con la fusione di alcuni movimenti politici di centrodestra sotto un unico raggruppamento denominato “Popolo della Libertà”: sigla che contiene la sostanza della libertà che il popolo desidera avere al fine di raggiungere il successo di Silvio Berlusconi, che sarebbe il vero modello da imitare. Contemporaneamente all’ascesa di questo movimento populista si assiste alla quasi scomparsa dei movimenti politici di sinistra e dei relativi simboli: il Partito Comunista, il Partito Socialista, il Partito Socialdemocratico ecc. professavano valori non edonisti e individualisti ma internazionalisti e umanitari. E sono quasi scomparsi anche movimenti politici di forte tradizione come il Partito Repubblicano, il Partito Liberale, il Partito Monarchico, il Partito Radicale ecc.
Gli elettori sembrano aver premiato – almeno recentemente e senza considerare altri aspetti importanti – i movimenti politici non definiti dal sostantivo partito: Alleanza Nazionale, Forza Italia, Unione Di Centro, Rifondazione Comunista, Lega Nord, Italia dei Valori, Popolo della Libertà ecc. Reggeranno a questa ipotesi di opinione negativa dei cittadini verso la parola “partito” i vecchi schieramenti della sinistra moderata e cattolica che si sono raggruppati sotto la sigla “Partito Democratico”? Le ragioni del rifiuto sono molteplici, a cominciare dalla stanchezza degli elettori verso certe parole: partito, partiti, partitismo…
Una spiegazione poco nota è quella riportata negli anni settanta del Novecento nei libri ortani di Mario Vitantoni, laddove si esamina la sostanza della parola “partito”: in quegli scritti si fa corrispondere il partito, inteso come sostantivo che indica una parte politica, a partito come participio passato del verbo partire. Per Vitantoni la parola partito assume il significato di partenza, scomparsa, riduzione di consensi dei movimenti politici denominati “partito”: partiti che partono o addirittura dipartono.