Opinione pubblica o “opinione sociale”? Mascia Ferri, dopo l’analisi del contributo sociologico di Walter Lippmann (Come si forma l’opinione pubblica, Angeli, 2006) torna sul tema, affrontato anche in un recente seminario di demodoxalogia (S. Martino al Cimino, 2009), con La voce muta: analisi dell’opinione sociale nel dopoguerra (Ecig, 2009). Secondo l’autrice, in sostanza, il concetto di “opinione pubblica” è suggestivo ma inadatto a un rigoroso approccio scientifico: esistono troppe incertezze sulla definizione; c’è un diffuso pregiudizio che sia un “soggetto” sociale (la personificazione dell’opinione pubblica di cui scrive Allport nel 1937); soprattutto sono deludenti i risultati teorici e empirici fin qui conseguiti. In tale severa critica all’opinione pubblica Ferri, pur apprezzando i contributi di Luhmann e Habermas, pur sottolineando la novità del “sondaggio deliberativo” di Fishkin, evidenzia:
“l’idea disomogenea di opinione pubblica, che impedisce alle scienze sociali di orientare la ricerca in termini pragmatici” e, dunque “la necessità di individuare un altro strumento operativo”: più utile dunque parlare di opinione sociale, definita “il risultato della relazione tra eventi storici, economici, politici, sociali e psicologici” (p.11).
Ho incontrato Mascia Ferri per capire meglio il concetto di “opinione sociale” e approfondire alcuni spunti del suo saggio. Mi ha spiegato la sua tesi:
– L’opinione sociale è ciò che pensa la gente su questioni di interesse pubblico: può esprimersi privatamente, tra le mura domestiche o nelle conversazioni con gli amici, o anche pubblicamente, firmando petizioni o rispondendo a domande poste attraverso i sondaggi, senza tuttavia essere ancora sussumibile a quella «pubblica». L’opinione sociale diventa opinione pubblica quando viene rappresentata attraverso mezzi che potenzialmente la espongono al pericolo di una distorsione del suo significato: le dichiarazioni di personaggi popolari che se ne fanno portavoce, i segni caustici delle percentuali mostrate sui cartelli e le tabelle, i titoli dei giornali formulati come se fossero dichiarazioni di popolo sono tutti modi di rappresentare l’opinione che potrebbero distorcere la realtà, dove per realtà si intende un’opinione in armonia con i propri ideali, le proprie paure, le proprie esigenze, la propria cultura di riferimento.
Esemplare in questo senso fu il dibattito intorno al referendum sull’aborto del 1981. L’opinione pubblica, cioè quella rappresentata attraverso i media e le dichiarazioni di alcuni esponenti politici e religiosi, fecero pensare a un paese sostanzialmente contrario alla legge 194, mentre il referendum produsse un risultato esattamente opposto (vinse il no con oltre l’88%). Gli italiani, considerati il popolo cattolico per antonomasia, non votarono secondo le indicazioni della Chiesa, ma questo non indica certo una contraddizione. Se si fosse indagato sull’opinione degli italiani seguendo una procedura diversa, cioè quella che io propongo come l’analisi dell’opinione sociale, si sarebbe anche compreso che, in considerazione di tutta una serie di elementi, il risultato non sarebbe potuto essere diverso.
Allo stesso modo potremmo affermare che oggi l’opinione pubblica è perlopiù contro Berlusconi, oppure a favore, in base al punto di vista che vogliamo prendere in considerazione, senza tuttavia essere in grado di prevedere il risultato di un prossimo voto elettorale. Se invece facessimo lo sforzo di analizzare l’opinione sociale potremmo scoprire, per esempio, che lo stereotipo del maschio ricco, anziano e onnipotente è desiderabile, ma non per questo condivisibile. L’uomo deprecabile perché puttaniere può tranquillamente convivere con l’idea di uomo fortunato e invidiabile, anche nella stessa persona che esprime un’opinione. Ciò che conta, casomai, sono tanti altri elementi che contribuiscono a sciogliere le contraddizioni e a produrre il risultato finale di un’elezione. Il metodo di analisi attraverso l’opinione sociale consente appunto di svelare queste contraddizioni e di inserirle in un discorso più coerente, l’unico utilizzabile in un’azione politica che voglia davvero assecondare il volere dei cittadini.
Nel libro l’autrice affronta innanzitutto il problema della scientificità dei sondaggi:
“mentre la tecnica arrivata dagli Stati Uniti era anche il risultato di un percorso sociale e politico maturato in una società democratica, nel nostro paese essa è stata ritenuta uno strumento di manipolazione politica” (p.12).
Così, gli stereotipi che ne derivano:
“impediscono di restituire dignità a persone la cui opinione è rimasta senza storia” (p.13).
Ma il sondaggio non è stato l’unico metodo per rilevare l’opinione pubblica: Ferri ricorda infatti che in Italia il Partito fascista usò altri sistemi di “ascolto”, come le “relazioni fiduciarie” redatte dalle questure. Aggiungiamo che all’epoca il Centro di demodoxalogia, attivo all’Università di Roma Sapienza dal 1939, fornì ulteriori strumenti di conoscenza al Fascismo, in primo luogo con la cosiddetta indagine demodoxalogica (si veda in proposito il corso di introduzione alla demodoxalogia a cura di Giulio D’Orazio).
Nella Voce Muta si delineano i contributi degli autori che negli ultimi due secoli hanno affrontato lo studio dell’opinione pubblica: la rassegna mette in luce, in particolare, la criticità e i problemi delle provvisorie conclusioni dei vari Lippmann, Dewey, Gallup, Allport, Lazarsfeld, Lasswell, Horkheimer, Habermas, Luhmann, Fishkin. Dunque, per rispondere alla domanda “cos’è l’opinione pubblica”, Ferri propone un approccio diverso da quelli tradizionali:
“non considerare un’opinione pubblica fatta dai media, pronta da utilizzare per i politici, disponibile a farsi trasformare ed educare, ma indagare sul processo della sua formazione” (p.36).
Si può allora rispondere alla domanda fondamentale così:
“l’opinione pubblica è una rappresentazione” (p.37).
E quello che conseguentemente rende insoddisfacente il concetto di “opinione pubblica” è proprio l’inconciliabilità dell’idea della sua formazione con quella della sua rappresentazione. In proposito, dobbiamo ricordare che proprio la demodoxalogia si sviluppò, soprattutto per merito di Federico A. Perini-Bembo, su due binari paralleli: la scienza dell’informazione e l’arte della formazione dell’opinione pubblica. Certo, i pionieiri della demodoxalogia furono organici al Fascismo e fornirono alla politica strumenti di manipolazione dell’opinione pubblica, ma pure l’intenzione di Pierpaolo Luzzatto Fegiz, fondatore della Doxa, sottolinea Ferri:
“fu specificatamente quella di utilizzare il sondaggio per formare l’opinione, un’opinione liberale come la intendeva Gallup”: “l’esperienza demoscopica del dopoguerra insegna, quindi, che prima di ritenere dei dati corrispondenti all’espressione dell’opinione pubblica bisogna individuare i soggetti che hanno finanziato la rilevazione e i motivi per cui è stata eseguita” (p.69).
In questo senso, l’autrice ricorda anche che molti sondaggi Doxa non vennero pubblicati perché i risultati non piacquero ai committenti.
In definitiva, Ferri sostiene l’impossibilità di utilizzare il concetto classico di opinione pubblica come strumento euristico, specialmente perché tale concetto non riesce a rappresentare la “discontinuità” (Giddens) della società moderna:
“gli scienziati sociali, infatti, fanno ancora fatica a trovare delle narrazioni diverse da quelle che hanno caratterizzato il pensiero evoluzionista” (p.38).
Pragmaticamente, dunque:
“l’opinione sociale si può raccogliere con gli stessi strumenti demoscopici di quella pubblica, ma viene integrata da altri dati che verificano la coerenza dei risultati delle rilevazioni” (p.40).
L’opinione sociale integra gli approcci della sociologia storica con quelli della sociologia della conoscenza (p.44) e può essere spiegata con l’uso di categorie sociologiche inserite nel loro contesto storico (p.46), integrate da “una psicologia che tenga conto dei processi cognitivi degli individui” (p.138).
Nella seconda parte del libro si rileggono secondo l’ottica dell’opinione sociale alcuni sondaggi realizzati dalla Doxa tra il 1946 e il 1958: un periodo in cui ai tradizionali strumenti della propaganda politica si aggiunse proprio il sondaggio, già utilizzato da tempo negli USA. Tra i molti spunti di lettura proposti dall’autrice, particolarmente suggestivo è quello relativo all’influenza che la televisione ebbe in italia fin dal suo debutto nel 1954:
“l’opinione sociale, ossia quella che si formava discutendo a volte animosamente nei bar fumosi o con i vicini di casa, diventò privata, mentre quella messa in scena dalla televisione cominciò a essere acclamata come la vera opinione pubblica” (p.66).
Interessante anche il commento alle rilevazioni demoscopiche del 1947:
“proprio grazie alle discordanze mostrate dai sondaggi sarebbe stato quindi possibile organizzare delle efficaci campagne elettorali per spostare gli indecisi e per ricollocare gli esterni” (p.103).
Nel dopoguerra, in effetti, i politici dimostrarono scarso interesse per i sondaggi: come sappiamo, negli ultimi decenni l’atteggiamento si è capovolto in quella che viene definita una vera e propria “sondomania”.
Ferri evidenzia che in diversi sondaggi Doxa del periodo analizzato furono commessi errori metodologici, causa di distorsioni anche sostanziali, dovuti specialmente all’assenza nei questionari delle cosiddette “domande di controllo” o all’uso di domande troppo astratte:
“dunque diventa difficile distinguere tra le risposte date per dovere o per imbarazzo e quelle che esprimono una vera opinione” (p.129).
Considerati i limiti degli approcci più tradizionali, Ferri sostiene infine che proprio il nuovo concetto di opinione sociale:
“ricrea un rapporto tra pensare politico e azione sociale capace di restituire all’opinione pubblica la dignità di soggetto democratico” (p.147)
A sostegno dell’approccio di Mascia Ferri all’opinione sociale, in conclusione richiamerei le speranze e insieme i timori di Joseph Pulitzer per l’opinione pubblica: criticata come espressione dei peggiori istinti delle folle e invocata come corte suprema cui appellarsi contro il malgoverno e l’ingiustizia. Ma, forse, in quest’ultimo caso Pulitzer intendeva proprio l’opinione sociale.