Dal 1967 il Censis suona le campane e chiama a raccolta gli italiani per l’annuale Rapporto sulla situazione sociale del Paese. Nelle oltre seicento pagine del volume (Franco Angeli, 2009) il Centro studi investimenti sociali interpreta la realtà nazionale con il suo riconoscibile piglio e una metodologia che, tra l’altro, permette il confronto con i report degli anni passati.
Come riconosce lo stesso Censis nelle considerazioni generali, c’è la “tentazione di replicare schemi culturali gia collaudati”, ma tale interpretazione è sostanzialmente necessaria “quando l’oggetto da interpretare è la società italiana, cioè una società testardamente replicante” (pag. XIII). In questa prima parte del volume vengono identificati in particolare alcuni processi di risposta alla crisi in atto: il protagonismo e la trasformazione delle imprese da un lato e, dall’altro, il declino di un certo individualismo e “opinionismo” (una suggestione ad hoc per la demodoxalogia). Interessante – e discutibile – anche la riflessione intorno all’infruttuosa convivenza di tre culture nazionali (semplificando: nazionalista, riformista, liberista).
Nella seconda parte del Rapporto, quella che identifica i fenomeni più significativi del 2009, si delineano tre temi: i soggetti privati sul filo della crisi, l’impoverimento della dimensione pubblica, la centralità della variabile tempo (per quello che più ci interessa, segnaliamo il capitolo su “l’eccitazione comunicativa nella permanente esposizione ai media”, p.73).
Nelle ultime due parti del Rapporto – in realtà una sola (sembra un po’ forzata la distinzione tra settori e processi) – il Censis propone degli approfondimenti nei campi della formazione, del lavoro, del welfare, del territorio, dell’economia, della comunicazione, del governo e della sicurezza. Anche qui le pagine più interessanti per il demodoxalogo sono quelle su comunicazione e media.
La tesi centrale è che “la stampa fa sempre meno informazione e sempre più opinione, irrompendo a pie’ pari nell’arena competitiva della politica” (p.495). Il Censis cita dunque il suo recente rapporto sulla comunicazione realizzato per l’Unione cattolica stampa italiana: “laddove la ricerca mostra il ruolo dominante dei notiziari trasmessi dalla vecchia Tv nel contribuire alla formazione dell’opinione pubblica e quindi, in definitiva, nell’orientare il voto” (p.496). Molto discutibile invece la tesi del press divide (il solco tra chi legge i giornali e chi si informa solo attraverso la tv e internet): forse c’è un ennesimo trascurabile conflitto di interessi (quelli del committente), ma appare davvero risibile la tesi implicita che i giornali italiani siano i custodi della vera informazione (ma lorsignori li leggono?) e tv e internet siano strumenti del demonio (quando lo sobilla un’associazione cattolica siamo alle soglie dell’umorismo). Certo, se la dieta mediatica è quella propinata dal timorato TG1 o da qualche allegro sito web, allora restiamo nel medesimo campo della disinformazione che sculetta sui principali giornali italiani… Dobbiamo ricordare che esistono ottimi canali all news, anche mainstream (BBC fra tutti) e infinite fonti dirette di informazione in rete?
Lasciamo stare per decenza il press divide, dunque, e torniamo a un’altra interessante riflessione del Censis, secondo cui: “in Italia non è a repentaglio la possibilità di esprimere qualsivoglia opinione, bensì la possibilità di una effettiva diffusione di queste opinioni presso il grande pubblico, che attinge solo a un numero ristretto di fonti” (p.496). Nel Rapporto si accenna anche agli aspetti strutturali della questione: all’evidenza che i giornali (limitati dall’unica uscita quotidiana) invece di scegliere con dignità “la strada del commento come approfondimento e riflessione distaccata” scelgano quella scivolosa “dell’opinionismo, del coinvolgimento diretto nella polemica politica, spesso senza lesinare i colpi bassi”. E senza contare il problema dell’insana relazione: “la Tv cerca nei giornali una legittimazione, e i giornali si infilano, come cavalli di Troia, nei palinsesti della Tv” (p.497).
Nel Rapporto si accenna – troppo superficialmente – anche alla banda larga: è in realtà uno dei problemi centrali della crisi italiana. Mentre in Giappone e in altri paesi si investe pesantemente sulle nuove infrastrutture di rete, considerate il volano della ripresa e della competitività, in Italia si continua a chiacchierare di digital divide per non fare sostanzialmente nulla: i principali attori del settore (Berlusconi e “Raiset” in particolare) temono infatti una piattaforma concorrenziale a quelle attuali della Tv. E la guerra di Rai e Mediaset al satellite di Murdoch spiega chiaramente la questione. Nel Rapporto, dunque, non emerge il problema politico dello sviluppo bloccato del sistema Italia. Ma altri aspetti meritano attenzione: secondo l’indagine del Censis, in sostanza, “per quanto si siano moltiplicati i media con cui entrano abitualmente in contatto, quando si tratta di scegliere per chi votare gli italiani si rivolgono principalmente ai telegiornali” (p.515).
Sottoscriviamo poi l’opinione del Censis sul successo dei social network su internet: “il problema è magari l’autoreferenzialità e il pettegolezzo, cioè quelle funzioni che comunemente vengono considerate rumore di fondo della comunicazione, però non è raro che l’attivazione della rete produca la trasmissione di messaggi di forte coinvolgimento collettivo, specie in condizione di estrema difficoltà, come ha dimostrato l’esperienza dell’uso dei telefonini e dei social network nel corso delle proteste in occasione delle recenti elezioni in Iran” (p.521). Beh, non male neanche l’idea che YouTube sia “uno dei migliori simboli della bulimia comunicativa che caratterizza l’epoca contemporanea” (p.525)!
Concludo con una sensazione: nonostante la mole del Rapporto e qualche spunto interessante, a volte sembra che neanche gli approfondimenti riescano ad andare oltre la superficie dei dati. E c’è un afrore di déjà vu, nonostante l’avviso iniziale sul carattere replicante del nostro paese… Magari è la premessa a una speranza: che davvero qualcosa cambi in Italia, e conseguentemente che il Censis abbia nuove prospettive da inquadrare.