Democrazia significa “governo del popolo”: nell’antica Grecia (che ci ha trasmesso il concetto) il popolo si radunava in piazza e decideva; cioè, la plebaglia ignorante dopo aver ascoltato i soliti quattro leader che sapevano parlare con trasporto e aulici concetti (specie delle cose che anche loro ignoravano), applaudiva le belle parole senza averle capite consegnando il governo del paese a quei furboni. Da allora qualsiasi tipo di governo ha operato e parlato in nome del popolo sovrano: anche quei capi carismatici, capaci di attirare i consensi, agiscono sempre su mandato del popolo (pervenuto dal responso delle urne o da facinorosi scesi in piazza con fez, striscioni o bombe molotov). Tra i governi, detti sociologicamente aperti (democratici) o chiusi (dittatoriali), dal punto di vista del consenso non c’è differenza. Tutti sono entrati vittoriosi nel Palazzo per volontà popolare certificata dai numeri: chi dalle schede uscite dalla urne, chi dalla massa osannante in piazza.
Il popolo è composto da molte persone di ogni età e ceto che elegge un capo che lo rappresenta, e il governo da costui formato propone al Parlamento le leggi che ritiene di dover varare; in sostanza sarebbe la sovranità popolare, rappresentata dal governo e dalla sua maggioranza, l’unica depositaria del potere di varare o abrogare le leggi. Con la semi-bocciatura del legittimo impedimento accade invece che una lobby di magistrati cloni possa inficiare una legge, voluta dal capo del Governo e quindi espressione indiretta del popolo sovrano. Si metterebbe così in discussione il millenario concetto di democrazia basato sulla volontà popolare. Insomma, un gruppetto di giudici cloni, poiché tali sono se togliamo l’unica donna e il togato con i baffi alla Metternich, ha consegnato il capo del governo al giudizio di quei magistrati suoi feroci nemici da quando è sceso in politica. La consulta dei cloni, in pratica, avrebbe annullato la volontà del popolo sovrano, rappresentata dal suo leader, sancendo che un potere terzo può intromettersi e modificare il corso della storia attraverso delle sentenze prese da una minoranza di persone tutte appartenenti, per età, ceto, professionalità e persino apparenza a una classe di cloni. Dove sarebbe la democrazia? I cloni della Consulta sono fra loro omogenei, non rappresentano il popolo ma una ristretta casta; può una casta prevaricare il consenso popolare?
Il premier Berlusconi, in contrasto con i giuristi, è solito affermare che chi ha avuto tale consenso, cioè lui medesimo, è il solo legittimato alla politica del fare e non può avere impedimenti di alcun genere; neppure dalla magistratura che è tenuta ad applicare le leggi, non a proporle o stravolgerle. Il popolo è sovrano poiché ha la capacità di scegliere i suoi condottieri tramite la piazza o le urne (entrambe truccabili, in alcuni paesi). Il popolo ascolta, legge, valuta, partecipa, poi sceglie, acclama, si appassiona… sino all’arrivo di “un altro duce o un altro re”, come cantavano le truppe italiane alla “bella abissina, faccetta nera” quando sbarcarono in Etiopia per cacciare il ras (dittatore) Hailè Selassiè e sostituirlo con un capo legittimato dal consenso del popolo italiano. Quello stesso popolo che, dopo aver cambiato vari duci e re per sostituirli con i divi politici, comprende di non avere alcun reale potere quando inneggiando sotto il Quirinale si sente rispondere dal re affacciato al balcone: “Popolo, io sono io mentre tu non sei un cazzo!” (lo racconta un poeta). Non c’è migliore rappresentazione della sovranità popolare, nel nostro civile e avanzato paese come nelle più povere nazioni africane. E, in genere, in tutto il mondo. Allora come oggi, non c’è nulla di nuovo, come sosteniamo sull’Opinione del demodoxalogo: il popolo è l’alibi di cui si fanno scudo i potenti una volta raggiunto il potere (in nome dello stesso popolo). Sino all’arrivo del successivo capo.