Abbiamo letto con piacere la monografia di Mascia Ferri sul contributo sociologico di Walter Lippmann (Come si forma l’Opinione pubblica, Franco Angeli, Milano, 2006). Il saggio, pubblicato nella collana “confini sociologici” diretta da Paolo De Nardis, è di agevole lettura e propedeutico allo studio della sociologia e delle scienze della comunicazione. Non solo perché approfondisce le idee e gli scritti di un giornalista come Lippmann (New York, 1889-1974) quasi sconosciuto sul piano sociologico, ma anche perché offre un’ampia panoramica dei contributi sociologici attinenti ai temi legati alla visione di Lippmann: i problemi della conoscenza, della coscienza di classe, della complessità, degli stereotipi, delle strategie mediatiche, della rappresentazione del sociale, della libertà e, soprattutto, della democrazia e del ruolo dell’educazione.
A tale proposito Alberto Izzo, autore della prefazione, ha scritto che la monografia non è solo un contributo alla
“rilevanza di Lippmann per la sociologia della conoscenza, ma è anche un confronto con molte altre tendenze della teoria sociologica a cui egli si è rifatto e che spesso ha anticipato con una terminologia a volte diversa da quella più ufficiale, sancita dalla tradizione.”
Lippmann è stato un giornalista statunitense e come tale risente dei caratteri della professione e della nazionalità. Quindi un giornalista impegnato: a fianco dei progressisti e per “una radicale ricostruzione della società” guidata da politici tecnocrati, che si avvalgano della consulenza di esperti, e che passi attraverso il superamento “dell’indifferenza dei cittadini americani nei confronti della politica e l’astensionismo al voto”. Come sappiamo, da noi gli uffici studi dei partiti e i funzionari del Parlamento suppliscono alle consulenze evocate da Lippmann, oltre alle varie lobbies associative ed economiche, mentre la partecipazione al voto e alla dialettica politica è più alta di quella statunitense.
Nella nostra lettura, comunque, tralasciamo le visioni politiche di un anticipatore della conoscenza dell’opinione pubblica per soffermarci piuttosto su quelle indicazioni che sono più vicine alla teoria demodoxalogica dei “maestri” della disciplina. In questo senso, a pagina 49 di una dispensa demodoxalogica edita dalle Edizioni Ateneo di Roma nel novembre del 1951, Federico Augusto Perini-Bembo (instancabile divulgatore della demodoxalogia), con riferimento ai libri di Lippmann Public Opinion (edito nel 1922 e tradotto in Italia nel 1963 da Comunità) e La giusta società (The Good Society, 1937, pubblicato da Einaudi nel 1945), afferma:
“altri autori sono abbastanza superficiali ed inesatti; il Lippmann per esempio chiama pubblica l’opinione condivisa dalla maggioranza.”
Nessuna altra citazione è rintracciabile nei testi di demodoxalogia, anche se le idee hanno marciato parallele. Vediamone i punti più salienti.
In effetti Lippmann non ha dato una definizione di opinione pubblica nè ha articolato i pubblici secondo circostanze modali anche se ha sostenuto che sono le immagini e le idee a orientare gli individui, attraverso gli stereotipi. Un altro punto controverso è l’influenza del cosiddetto pseudo-ambiente: spiegato da Lippmann come un “ibrido risultante da un combinazione di natura umana e di condizioni ambientali”. Le elaborazioni si avvicinano là dove dice che gli individui non potendo vedere la realtà oltre quella già nota non sono in grado di “definire la situazione”, pertanto la massa non è in grado di governare e ha bisogno di essere educata: una teoria cara anche a Felix A. Morlion, altro padre della demodoxalogia oltre che fondatore dell’università internazionale Pro Deo (ora Luiss). Per trasmettere nel modo più efficace un’idea la si veicola attraverso le immagini e le parole per suscitare emozioni che poi orientano il comportamento.
Anche Lippmann vede il gruppo (quello che per i demodoxaloghi è un determinato pubblico) come un insieme di persone che hanno un loro posto preciso, imperniato sui ruoli, e che si comportano secondo certe previsioni stabilite culturalmente dal gruppo stesso. Lippmann affida un ruolo centrale al desiderabile e alle aspettative: quello che in demodoxalogia sono i bisogni e le “aspirazioni collettive” enfatizzate dal ruolo dei mass-media. E poiché l’opinione delle masse non coglie la realtà delle cose, “il movimento d’opinione è più lento dei fatti”, i quali “dipendono dal punto di vista in cui ci mettiamo”, esaltando il set di ruoli ricoperto da una stessa persona: concetto individuato nella demodoxalogia con la partecipazione degli individui, di regola e contemporaneamente, in modo attivo e passivo, a pubblici numerosi e differenti. Anche Lippmann esclude che l’opinione possa coincidere con la verità in quanto basata su una supposizione, un pregiudizio: per i demodoxaloghi l’opinione è una via di mezzo tra la verità e il dubbio (come affermato da Jacques Bénigne Bousset).
Lippmann, così come i demodoxaloghi (già dal 1928 con il corso tenuto da Paolo Orano), ha individuato nel giornalismo lo strumento che orienta, nel bene e nel male, l’opinione pubblica, soddisfacendo i gusti e le abitudini dell’individuo che si sente personalmente coinvolto a schierarsi. Altro punto in comune tra Lippmann e la demodoxalogia è la diffidenza verso i sondaggi (oggi molto più raffinati di quelli dell’epoca):
“la somma statistica delle opinioni di queste persone non può dunque costituirne un apprezzamento definitivo: rappresenta, semmai, solo l’inizio di un dibattito, lungo il quale le loro opinioni debbono essere confrontate con i punti di vista dell’esecutivo, qualificato a difendere e promuovere l’interesse pubblico.”
Quello che i demodoxaloghi hanno risolto con la cosiddetta inde (indagine demodoxalogica): l’intervista mirata ai leader d’opinione e la valutazione statistica degli argomenti trattati dal mondo dell’informazione: per altre informazioni si veda il nostro corso di introduzione alla demodoxalogia.
Lippmann non ha indicato tecniche per formare l’opinione pubblica ma ha sviscerato, da giornalista, i fenomeni che la coinvolgono spingendo lo sguardo oltre la società industriale ed evidenziando problematiche relative al sistema politico, alla partecipazione al processo decisionale, al ruolo dell’intellettuale nella società globalizzata e a quello della “rete” che dovrebbe favorire il processo di accesso ed elaborazione delle idee.
Un plauso dunque a Mascia Ferri, ricercatrice alla Facoltà di sociologia della “Sapienza”, che ha presentato al mondo accademico e agli analisti dell’opinione pubblica italiana un autore scarsamente studiato, seppure di grande attualità e lungimiranza su tematiche che necessitano ancora di approfondimenti, definizioni e ulteriori tecniche di rilevazione. Ed è proprio su questa strada che i demodoxaloghi sin dai primi anni del Novecento hanno intrapreso la costruzione di una teoria sulla scienza dell’opinione pubblica e successivamente il metodo inde e una particolare definizione del concetto di ambiente.