Pubblicato su Gli Italiani il 20/09/2010
L’articolo di Angelo Panebianco, apparso sul Corriere della Sera il 18 settembre, è stato un vero sasso nello stagno torbido di questa politica italiana. Purtroppo l’impatto non ha allargato i cerchi spostando la melma, ma piuttosto ha smosso quella più profonda. «Un partito senza identità», lo ha definito l’autore, e vorrei integrare il suo commento con delle considerazioni che escono dal fondo dello stagno di cui sopra, cioè quello i cui sedimenti sono rappresentati dagli italiani ammutoliti, e annichiliti, da un atteggiamento quanto mai inopportuno in un momento di anomala complessità, in cui dovrebbero, invece, emergere tutte le forze. Persino quelle della base, della “melma”. Il punto cruciale è che il PD mescola i valori con la dottrina. E questo in una società moderna e multiculturale non si può fare. Non solo perché essa necessita di accreditare sempre più l’idea che i valori siano relativi e mutevoli, ma anche perché è irresponsabile e ipocrita ricondurre tali valori a un significato kantiano, che indirizza il «dover essere» verso una sfera di norme e fini a prescindere dalla realtà esistente. Questa realtà metaempirica, alla quale sembra rifarsi il PD quando i suoi illustri rappresentati concedono al popolo l’ascolto della loro parola, sembra essere un insieme di precetti e nozioni dotte acquisite attraverso pacati e ponderati incontri “di vertice”. Ebbene, questo modo di comunicare, ma direi anche di essere, rende il PD un partito di casa loro, ma non certo di casa nostra.
Soprattutto non è un modo onesto di recuperare voti. Tra l’altro non ci riesce neppure, perché il PDL, che ben conosce la differenza tra valori e dottrina, va molto più avanti fino al punto che Fini comincia a raccogliere consensi persino dalla sinistra. Questo aspetto della destra – il non mescolare valori e dottrina – piace, a prescindere dal riconoscere una sua effettiva politica “criminale”. Gli italiani, infatti, sono abituati a una politica disonesta, statica e inefficace, ma non amano essere presi in giro. Berlusconi vince con la sua sfacciataggine, e della disonestà ne ha fatto un punto di forza; il PD & Co. perde con il suo dottrinismo.
Se si vuole cambiare qualcosa bisogna eliminare gli attuali esponenti del PD e i loro meccanismi ereditari. La loro discendenza di rango indispone, soprattutto le persone intelligenti e colte. «Come osano!» Viene da pensare, «Come osano trattarmi da imbecille?» Berlusconi tratta anche lui da imbecilli, ma si rivolge al popolo sia nel linguaggio che nelle movenze. Gli aristocratici del PD si rivolgono ai colti. In questo modo perdono consenso dal popolo, che non li capisce, non ci si identifica, e sono disprezzati dalle élite, che li considera dei “solo chiacchiere e distintivo”. Del resto vogliamo parlare delle bersanate?: «La pazienza è finita», «Rimbocchiamoci le maniche», «Non guardiamoci le punte delle scarpe» ecc. Ma Bersani lo sa che 60 anni fa in questo paese c’era il fascismo? E che gente cresciuta in quel clima (sia a destra che a sinistra) è ancora viva? Questo non è un paese da camicetta bianca stirata!
Fanno sparate trendy con qualche donna in infradito Mephisto – invece che in tacchi a spillo – in Parlamento, ma appena una di queste apre bocca si ha proprio l’impressione che sia stata recuperata per compiacenza, senz’altro passando per qualche letto noto. Le donne della destra, invece, saranno pure “mignotte”, ma gli si comincia a riconoscere il coraggio di affrontare gli insulti, i pregiudizi e il moralismo. E vanno avanti, tra il gossip e le battute, mostrando che se vuoi veramente qualcosa, se sei costante e tenace, riesci anche ad arrivare molto in alto. Se da parte della sinistra “la danno” per gerarchia, da parte della destra “la danno” per carriera. Ma non è il loro metodo ad essere ripugnante – questo è un piccolo passo avanti al femminile –, bensì quello dei loro capi. E se il PD ricambia le prestazioni con una candidatura secondaria, Berlusconi lo fa con un ministero e dei brillanti. Lui è sempre il più forte, ed è «un uomo generoso», dicono in troppi.