Intervento al seminario di demodoxalogia, San Martino al Cimino, 26/10/2009
La demodoxalogia è una misconosciuta tradizione di studi italiana, contemporanea ai più rinomati approcci pionieristici nordamericani sulla comunicazione e i mass media. Mentre Harold Lasswell pubblica Propaganda Technique in the World War I (1927), Paolo Orano, considerato il fondatore della demodoxalogia, indica l’opinione pubblica come oggetto di scienza già nel 1928: “una potenza con la quale il potere di governo, il regime politico, deve trattare e alla quale può anche soccombere”. Lo statunitense parla dalla democratica America, l’italiano dalla Facoltà fascista di scienze politiche di Perugia: il differente contesto spiega gran parte del successo della Content Analisys e della cattiva fama della demodoxalogia (italianizzata in “demodossalogia” per le famigerate fisime di purezza linguistica dell’epoca).
Così, mentre negli USA negli anni trenta si sviluppa una tradizione di studi che ha radici nella psicologia sociale di Kurt Lewin e culmina nel 1955 con il fondamentale Personal Influence (“the part played by the people in the flow of mass communication”) di Elihu Katz e Paul Lazarsfield, in Italia la demodoxalogia indaga sugli stessi temi già da tempo: lo documentano, tra l’altro, le pubblicazioni del Centro di demodossalogia attivo alla Sapienza fin dal 1939. Questo è un punto fondamentale di tutta la vicenda: il presunto “ritardo nello studio scientifico dell’opinione pubblica in Italia” (Rinauro, 2003) fa riferimento infatti alla fondazione della Doxa (1946), ritenuta a torto il primo istituto di indagini sull’opinione pubblica. Ripetiamolo: il Centro di demodossalogia è attivo nella prima università di Roma dal 1939 e lo è ancora nel 1956 quando l’Unesco pubblica un report riservato sulla formazione dei giornalisti in Europa (Jacques Bourquin, Univ. Losanna) che documenta la posizione preminente della demodoxalogia: oltre al citato Centro, infatti, si nominano i primi quattro docenti italiani di giornalismo (Perini-Bembo, Fattorello, Barbieri, Gaeta), tutti coinvolti nello sviluppo della demodoxalogia. Il dossier dell’Unesco non accenna alla compromissione della demodoxalogia col regime fascista, ne documenta anzi il successo ancora nel 1956: “en général, le chiffre des inscrits est en augmentation (…) au Centre de ‘demodoxalogie’, ce chiffre dépasse 800 et plus de la moitié des étudiants fréquentent les cours auxiliaires”.
Quella della demodoxalogia dunque è anche, ma non solo, la vicenda imbarazzante di una scienza fascista dell’opinione pubblica: durante il regime mussoliniano, ad esempio, molti studenti di demodoxalogia, indottrinati a “rilevare per informarsi e informare per formare”, venivano spediti a spiare i pensieri dei sudditi con maniere spicce (lo chiamavano “ascolto delle masse”). Certo, con Adriano Magi-Braschi, maestro di tecniche di disinformazione e collaboratore del generale De Lorenzo al servizio segreto militare, negli anni sessanta la demodoxalogia si manifesta ai suoi detrattori anche come scienza golpista… Ciononostante, oggi, epurata da ogni deriva ideologica, la demodoxalogia dovrebbe essere considerata per quello che è scientificamente: una prestigiosa tradizione italiana nell’ambito degli studi sociali sulla comunicazione. L’iniziale ostracismo degli ambienti accademici più progressisti è comprensibile, ma ora non ha più senso. Non ci sono più i discussi demodoxaloghi delle origini: discutibili politicamente, ma non come studiosi dell’opinione pubblica. Personaggi come Paolo Orano (un ebreo schierato col fascismo, che legittimava la censura come tutela degli sprovveduti) e Augusto Perini-Bembo (che scriveva lettere anonime, pensando, come Richelieu, potessero smuovere governi e opinione pubblica); o, soprattutto, Felix Andrew Morlion, un sacerdote agente dell’intelligence Usa a Roma (suo segretario particolare il giovane Giulio Andreotti), alla guida di un “servizio parallelo” in funzione anticomunista, il Centro informazioni Pro Deo, legato all’omonima università da cui poi nacque la Luiss.
La rimozione storica della nostra disciplina è così profonda che perfino i dizionari incespicano nel definirla: disdicevole è soprattutto la confusione tra significati religiosi e scientifici (mentre le diverse radici “dosso” e “dossa” aiuterebbero a distinguerli). Aspettiamo da decenni un dizionario che faccia giustizia 😉 che la zeta dello Zanichelli diventi quella di Zorro: “dossologia” e “demodossalogia” non sono sinonimi! E aggiungiamo che sarebbe ora di non definirla più “demodossalogia”, secondo l’italianizzazione voluta dal Fascismo: la Società italiana di demodoxalogia (Sidd), l’associazione che raggruppa i demodoxaloghi in attività, ha infatti già ristabilito il corretto e originario termine di “demodoxalogia”. Nonostante le incertezze evidenziate, riportiamo comunque come riferimento la ragionevole definizione della voce “demodossalogia” proposta dal Grande dizionario di Salvatore Battaglia (UTET, 1966): “disciplina che si propone di approfondire i presupposti psicologici e sociali che informano e formano l’opinione pubblica e tende a ottenere una migliore combinazione fra la notizia, il pubblico e il mezzo impiegato (giornale, radio, cinema, cartelloni ecc.); studio, indagine dell’opinione pubblica. Voce dotta, composta dal greco ‘popolo’, ‘opinione’ e ‘discorso’.”
Tra i concetti fondamentali, molto apprezzata dai demodoxaloghi è la definizione di “opinione” di Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704): intesa come un grado intermedio tra il dubbio e la certezza, secondo l’autore l’opinione si forma attraverso la comunicazione; predispone ad atteggiamenti, ruoli, aspettative e l’ambiente in cui si forma è rilevante quanto la personalità degli individui. Per quanto concerne il “pubblico”, i maestri della disciplina ne distinguono diversi tipi, a seconda delle modalità con cui si aggregano. I pubblici, dunque, possono essere “oggettivi” (per caratteri propri: uomini, europei, malati ecc.), “soggettivi” (per condizioni relative alla propria volontà: studenti, comunisti, coniugati ecc.) e “virtuali” (per attribuzione esterna, di cui gli appartenenti possono anche non essere coscienti: clienti o target di un servizio, latifondisti definiti tali da una statistica o per legge, audience tv ecc.); sono inoltre possibili ulteriori articolazioni di pubblici con caratteri misti (oggettivo-soggettivo, oggettivo-soggettivo-virtuale ecc.). Infine, dai pubblici si distinguono le “folle” (che si formano, agiscono e si dissolvono con estrema facilità).
I pubblici, generalizzando, formano l’opinione pubblica: un complesso di idee, sentimenti, pulsioni che spinge un gruppo di esseri umani ad agire e reagire con le stesse modalità di fronte a determinati fatti d’attualità connessi ai problemi della vita sociale. Per lo studio dell’opinione pubblica possiamo avvalerci, tra le altre tecniche, specialmente dell’effemerocritica: la valutazione comparata delle attestazioni d’attualità (i fatti), secondo i principi della demodoxalogia. I riferimenti teorici sono comunque molteplici. Ad esempio, per mettere in relazione la causalità tra due fenomeni si richiama la teoria dell’associazione abituale di Hume; per circoscrivere l’ambiente in esame viene in aiuto la geometria frattale di Mandelbrot; per evidenziare il comportamento sociale, il fenomeno della suggestione collettiva studiato da Tarde e Le Bon…
Suggestivi, infine, alcuni ricorrenti riferimenti letterari dei demodoxaloghi: tra tutti, le intuizioni di Max Nordau e Pitigrilli (Dino Segre) sull’affiorare delle contraddizioni sociali e quelle di Toddi (Pietro Silvio Rivetta) sull’idea di unitarietà della scienza.
In sostanza, al centro dell’indagine demodoxalogica (“inde”) c’è l’ambiente: si studia l’opinione pubblica là dove si ripetono gli schemi comportamentali abituali. Storicamente, dunque, al campionamento statistico (avversato dal Fascismo) si preferì il metodo inde: colloqui con questionari approfonditi e campionamenti scelti (non casuali); alla presunta oggettività del sondaggio Gallup, i padri della disciplina preferirono una più controllabile interpretazione dei documenti disponibili. La questione però, oggi più di ieri, non è la teorica superiorità di una tecnica sull’altra, ma la correttezza della rilevazione, spesso viziata a monte da un impianto metodologico “a tesi”: chi promuove una ricerca spera sempre di ottenerne dei benefici. Perché i risultati graditi, ottenuti magari manipolando i dati, possono orientare nella direzione voluta l’opinione pubblica.
Aveva ragione Pulitzer ad appellarsi a un’opinione pubblica bene informata e allo stesso tempo a diffidarne!