Il cavallo di Caligola

Le effemeridi, dal greco ephemeris (diario), sono le attestazioni del giorno: cioè la cronaca d’attualità. Documentazioni che ci ragguagliano sul passato o che attestano a memoria futura; come le effemeridi che raccoglievano gli editti dei regnanti, oppure il libro di Giovanni di Muller che sotto tale titolo riferisce gli avvenimenti succedutisi, giorno dopo giorno, dal 1475 al 1506. Le effemeridi del tempo ci raccontano che Caio Giulio Cesare Augusto Germanico – nato ad Anzio nel 12 d. C. e conosciuto come Caligola perché indossava la calzatura militare denominata caliga – nominò senatore il suo cavallo. Non essendo vissuti in quel periodo, ma basandoci solo sulle effemeridi (cronache) dei giorni nostri non sappiamo se il gesto fu un atto di sfida verso il Senato, anche allora frequentato da capre in sembianze umane, oppure un vero atto di follia. Certo è che Caligola, figlio di Giulio Cesare Germanico e di Agrippina, ereditò il trono nel 37 alla morte dello zio Tiberio (fratello del padre). Colpito da una grave malattia, dopo la presunta guarigione iniziò persecuzioni e uccisioni di parenti e cittadini, sposò una sorella, distrusse le opere di Tito Livio, si proclamò dio, volle vivere con fasti orientali e nominò senatore il suo cavallo. Però gli adulatores (cronisti prezzolati) dell’epoca sostenevano che dalla malattia era guarito… Effemeridi della storia che testimoniano il disfacimento dell’Impero romano. Nel 41 fu ucciso da una congiura.

Venendo ai giorni nostri: è stata annunciata la candidatura del figlio del leader della Lega ad una carica politica. Il giovane Bossi dopo tre bocciature a scuola e nessuna capacità lavorativa ha trovato quello che è più confacente a un bamboccione senza arte né parte: farsi nominare assessore! Non ce ne meravigliamo, non è il primo caso né sarà l’ultimo. L’ex segretario dell’allora Pds, Piero Fassino, volle premiare la militanza politica della consorte facendola eleggere nel consesso parlamentare; in buona compagnia con altri parenti, più o meno stretti, di altrettanti colleghi delle più disparate ideologie politiche. E dove non sussistono vincoli di parentela possiamo trovare riconoscimenti a affettuose amicizie o occasionali incontri. L’andazzo o la prassi (a seconda dei punti di vista) ha pervaso tutto il Paese, dalle regioni ai più piccoli comuni; possiamo pertanto dire che si stanno instaurando tanti principati, così come è stato nel Medioevo.

Un simile stato di cose è certamente frutto della sciagurata legge elettorale nazionale, delle leggi locali che ogni regione legifera secondo interessi particolari, dell’invadenza della politica nell’occupazione del potere amministrativo, ma è soprattutto il sintomo del disfacimento di una classe politica che sta portando il Paese verso il precipizio. Le leggi ad personam sono l’ulteriore segno della disgregazione democratica: non è infatti giuridicamente ed eticamente corretto accettare il principio che chi da il mazzo (perché l’ha vinto o acquistato) può mutare a suo arbitrio le regole del gioco. Appellarsi al gioco dei voti o dei sondaggi in favore della maggioranza è l’anticamera della dittatura: tutti i movimenti antidemocratici hanno gestito il potere appellandosi alle manifestazioni oceaniche della piazza, a cui oggi si aggiungono la tv e i sondaggi.

Non che nei regimi democratici le cose vadano meglio! L’apparato parentale in Usa e India, tanto per citare due grandi paesi, ha governato per quasi un trentennio. Meglio? Peggio? E’ difficile dirlo: ogni situazione va rapportata alla situazione locale (geografica, culturale, epocale); una ricetta politica buona per la Francia non è detto che vada bene anche per l’Italia (gli interessi, le consuetudini e la cultura sono diversi). Il concetto stesso di democrazia è opinabile: sul piano elettorale nei cosiddetti paesi a maturità democratica l’affluenza alle urne è bassa, mentre nei regimi forti o instabili è alta (i politici si servono del consenso della folla). La cultura della democrazia parte dal presupposto che la politica è la sede di mediazione degli interessi: economici, religiosi, culturali; da qui la creazione di lobbies, movimenti, partiti che – riflettendo particolari interessi (locali o generali) sbandierati come esigenze collettive – attuano la politica degli sponsor di riferimento. L’elettore maturo, che non ha interessi particolari da sostenere, non si reca alle urne in quanto questo, quello o quell’altro non lo rappresentano; ed anche questa è democrazia!

Bruno Zarzaca ©reative ©ommons BY NC ND 1997-2024